1-5 giugno 2022
Partenza da Biella alle 16 del 1° giugno 2022. Arriviamo a Grasse dopo le 21 e ci fermiamo per la notte nel parcheggio vicino alla stazione.
Al mattino saliamo a visitare il centro della cittadina, tutto appoggiato alla collina, ci sono molte vie traverse, il tessuto delle case e viuzze è ancora antico, gli abitanti sono spesso di origine nordafricana o misti.
La città è ben tenuta, merito anche di un turismo attivo tutto l'anno per via delle rinomate fabbriche di profumo, le principali sono Fragonard e Molinard. C'è il MIP Museo Internazionale del Profumo, dev’essere di grande interesse, ma richiede tempo. Noi visitiamo invece il museo del profumo di Fragonard, forse non è un caso che il nome abbia la stessa radice di “fragranza”. Poche sale, oggetti e vetrine, ma basta una boccetta porta-profumo per suggerire molto dei costumi della sua epoca. Dall’arcaico sistema di raccogliere il profumo dai fiori appoggiandoli a testa in giù su uno strato di grasso di maiale, agli alambicchi di rame... tante evoluzioni fino ai profumi molecolari di sintesi. Facciamo qualche acquisto nella boutique, un'esperienza gradevolissima, ambienti luminosi e ampi dove si vaga piacevolmente odorando le tante fragranze spruzzate su striscette di carta, le solerti commesse indossano camicie a fiori. Nell’aria un mix di fragranze inebrianti, saponi, profumi, eau de toilette, roba da sogno, poi il passaggio alle casse ti riporta alla realtà.
Il senso dell’olfatto qui è stimolato, nello spettro del piacere, ai massimi livelli, ed è uno dei sensi più importanti, è il nostro laboratorio chimico istantaneo che per tutta la vita usiamo per scegliere e valutare le cose buone, sane, pulite, gli ambienti, i cibi, ed anche l’amante (se funziona la chimica… ).
Non per nulla Marcel Proust, raffinato e profondo esploratore dei sentimenti umani, scriveva:
„Ma, quando niente sussiste d'un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, soli, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l'immenso edificio del ricordo.“
(citazione obbligatoria, siamo in Francia...)
Giriamo ancora per la città e visitiamo il duomo, l'interno è molto particolare, di pietra grezza e sfaldata.
Torniamo al camper e partiamo per incontrarci con Marco e Gabriella , nostri amici camperisti, vicino a Quinson, nella parte bassa del Verdon.
Tra due dei tanti bacini artificiali realizzati sul Verdon scorre un lungo canale in una gola tra alte pareti di calcare. Gli amici, che sono arrivati prima, percorrono il canale su una piccola barca a motore elettrico. Noi facciamo il percorso sul sentiero che fiancheggia il canale, ambiente stupendo, acqua azzurra, pareti mozzafiato. Durata un paio d'ore.
Tornati al camper facciamo un lungo “apericena” condito di chiacchiere con gli amici e poi a letto.
Venerdì dormiamo fino a tardi, intanto piove. E' quasi mezzogiorno quando andiamo a visitare il grande museo archeologico di Quinson, forse un po' troppo moderno e asettico, le informazioni delle audio-guide sono decisamente scarne e frettolose. La tecnologia aiuta forse a gestire in fretta il flusso dei visitatori, ma non stimola né sazia la sete di conoscenza.
Il museo racconta della corsa pazza che hanno fatto gli archeologi negli anni ‘50 per raccogliere e documentare tutto il possibile da 60 siti con reperti dal Paleolitico (età della pietra antica) all’età del bronzo. Siti che poi vennero sommersi dalla messa in funzione dei bacini artificiali.
Usciamo tardi dal museo fa caldo e c’è un bel sole, i pochi ristoranti sono già chiusi, mangiamo in camper a crepapelle sotto la fresca ombra dei salici. Più tardi partiamo verso La Palud, nelle Georges del Verdon, mentre gli amici si fermeranno poco prima al lago de Sainte Croix.
Dal lago de Sainte Croix si sale molto di quota poi la strada, per entrare alta sopra le Gorges, sfrutta delle cornici impressionanti intorno a pareti e appicchi di calcare, un’entrata in grande stile, estremamente spettacolare, c'è da sperare che non crolli nulla.
Arriviamo a la Palud alle 18 passate.
Barbara esterna la bizzarra idea di fare subito il sentiero dell’Imbut un sentiero un po' difficile, sicuramente sconsigliato se non vietato la notte. Non dico nulla ma sospetto che nutra la speranza di essere soccorsa in fondo alle Gorges da quel manipolo di pezzi d’uomini della Legione Straniera, quelli che avevamo incontrato e che l’avevano tanto (ben)impressionata undici anni fa lungo il sentiero Martel.
L’ufficio turistico è chiuso, compriamo qualche cosa da mangiare in questo paesino che è il crocevia di tutti i turisti sportivi che visitano le Gorges, in particolare i motociclisti (grossi), i ciclisti (magri e anziani), i canoisti (giovani), gli scalatori ed i camminatori (tutte le età).
Subito ripartiamo verso lo chalet de la Maline, punto di partenza del famoso sentiero Blanc Martel. Un altro sentiero meno conosciuto ne condivide la partenza, si tratta del sentiero de l'Imbut. È molto più breve come lunghezza ma sensibilmente più difficile come terreno, si va e si torna dalla stessa strada, dicono sia il più bello di tutti.
Il cielo è velato da nuvolaglia in movimento, alle 19 siamo all'inizio del sentiero. Le informazioni che abbiamo consultato frettolosamente su questo percorso ci dicevano 3,5 ore andata e ritorno, quindi la nostra speranza è di uscirne, tirando un po', alle 22, con ancora un filo di luce.
La partenza è una discesa di almeno 45 minuti, poi c'è un bivio, a sinistra il sentiero Martel, a destra l'Imbut. Qui un cartello inequivocabile ci tocca il tempo: Imbut una ora e trenta, chalet de la Maline un'ora. Totale 2,5, andata e ritorno 5 ore. Prendiamo atto e procediamo, non è che un altro Rubicone.
Si scende ancora un po' poi si attraversa il Verdon su un bellissimo ponte ad arco di legno e acciaio. Da qui in poi cambia tutto, la gola tra le altissime pareti si fa molto più stretta e il sentiero meno battuto e meno agevole. C'è una umidità altissima, non fa caldo ma sudiamo a profusione, il calcare lucido e bagnato è abbastanza scivoloso. Nonostante la presenza ogni tanto di corrimano di ferro e scalette ci sono alcuni punti brevi ma pericolosi dove se ci si distrae si rischia un volo di dieci o venti metri fino al torrente.
Ma è affascinante, si passa davanti a molte erosioni e grotte che sfarinano polvere di calcare talché sembra di camminare sul borotalco. Grotte dove è segnalato di fare silenzio per non disturbare i pipistrelli. Si attraversa un bosco con pochi enormi faggi, un altro fitto di tanti alberi di bosso coperti da lunghi ciuffi di licheni, lunghe ripidissime scalette di ferro dai gradini bassi e stretti, scale di tronchi dai gradini molo alti. Procediamo con una certa sollecitudine eppure i sensi registrano tutto, tra le tante sensazioni mi ha stupito il silenzio. Il torrente è sempre vicino e il suo scrosciare è continuo, eppure sento il silenzio del bosco, e quando Barbara venti metri avanti calpesta il tritume di calcare io lo sento come se intorno non ci fosse nulla, mistero.
Altissime sopra di noi le impressionanti pareti presentano tutto un campionario di superfici e strutture, cavità, grotte, erosioni, grigie, gialle, rosso mattone, e nere. E solo per un po' lassù risplendono le vette e i margini delle gole accesi dagli ultimi raggi di sole, poi la luce cala sempre più.
Tuttavia anche su queste pareti, come avevo già notato arrivando nelle Gorges, i colori dei licheni sul calcare sono sbiaditi rispetto agli anni passati, la siccità di quest’ultimo inverno li ha stinti e slavati, soprattutto si è stinto il nero. Come sempre io resto a tratti indietro per osservare qualcosa mentre Barbara prosegue inesorabile, ogni tanto nel sentiero ci sono sassi più scuri, perfettamente levigati, più pesanti, opera del Verdon che li ha a lungo burattati, come fanno gli orafi con le pietre dure semi-preziose. Mi piacerebbe passare un giorno intero per osservare questi sassi selezionati del fondo, c'è sempre qualcosa da scoprire.
In un tratto nel bosco buio vedo un movimento lontano nel sentiero, penso a un sasso rotolato dal pendio, ma passando vedo che è un grosso rospo che cerca di scappare in su, e rotola giù. Sarà il primo di una lunga serie.
Il sentiero a volte si abbassa fino al greto poi si alza ancora e subito il torrente è venti metri più in basso, riprendiamo un traverso aereo, una cengia con qualche corrimano di ferro rugginoso. Poi su un grosso macigno c'è una piccola targa di legno con la scritta "Styx" (Stige), il fiume dell'inferno di Dante. Si sale ancora un po' poi di nuovo giù nel greto e vediamo sparire il torrente in una grotta scura. Qui il torrente entra in una cavità come nel fondo di un imbuto e questo ha dato il nome al sentiero. Per un po' proseguiamo sul percorso sempre meno evidente, passiamo una specie di canalone da dove in alto giungono forti richiami animali, non capisco se si tratta di un nido di corvi imperiali, ma il verso non mi sembra il loro, forse sono grifoni. Un sentiero vero e proprio non c'è più, solo tracce di fango tra i grossi sassi da aggirare ad ogni passo. Non siamo certi che sia la fine del sentiero, ma il buon senso ci impone di tornare, i numerosi passaggi impervi del ritorno sarebbero col buio un po' rischiosi, e senza possibilità di soccorsi, quaggiù. Abbiamo sudato moltissimo, io finisco la mia acqua e ci concediamo una mela a testa. Barbara inizia il ritorno, ma io proseguo ancora qualche minuto più avanti seguendo le tracce fra i sassi.
Il Verdon è scomparso e di certo scorre in un tunnel sotto la parete della sponda opposta. Decido di tornare, dedico ancora un po' di tempo per qualche foto e scendo nel greto del torrente per riempire la borraccia, nell'acqua bassa ci sono un sacco di girini di rospo, piccoli e scuri. Poco oltre, sull'altra sponda, c'è un banco di conglomerato (che ci fa qui?), ma non ne sono certo dato che c'è ormai ben poca luce. Riprendo l'inseguimento di Barbara che intanto ha superato da sola i punti più difficili, e non solo, mi ha lasciato a terra diverse frecce fatte con legnetti secchi. Devo dirle grazie, non servono per indicare il sentiero, ma per segnalare che fin lì tutto bene. Dopo mezz'ora la raggiungo, si lamenta per gli incontri con i rospi, sempre più frequenti. Un maschio per giunta l'ha minacciata, alzandosi imperioso sulle zampette. Io le ho suggerito di baciarlo, se fosse diventato un principe magari ci avrebbe portati su allo Chalet con la sua carrozza volante, ma lei non ha voluto.
Arriviamo al ponte, c'è una falce di luna che poi tramonterà e non la vedremo più. Il buio aumenta ancora, come anche i rospi, ce li troviamo davanti ai piedi e temiamo di calpestarli, fortunatamente si muovono per fuggire, da fermi con il buio non li vedremmo proprio. Ma da qui il sentiero fino in cima è migliore. Un' ora di risalita, l'ultimo quarto d'ora sotto le piante, con la luce del telefono.
Arriviamo al Camper alle 22:40, tre ore e quaranta in tutto, una mela, un litro d'acqua, sudati da torcere.
E’ tutto chiuso a la Maline quindi improvvisiamo una cena con due uova, poi la doccia e a nanna.
Scopriremo solo dopo, consultando una documentazione più autorevole, che il sentiero de l’Imbut può continuare ancora altri 10-15 minuti per arrivare fino ad una piccola spiaggia bellissima. Sarà per la prossima volta!
In queste gole grandiose l’ambiente è del tutto particolare, intanto c'è un microclima speciale, molto umido e con poca luce e quella poca proviene tutta dallo zenit. Solo qui ho visto gli alberi di bosso (un’essenza a crescita lenta, legno bianco durissimo), crescere dritti dritti e alti forse 10 metri, in cerca di luce. Chissà quante piante ci sono quaggiù che hanno qualcosa di particolare.
Riguardo al torrente e al suo greto un occhio attento potrà notare che non è del tutto naturale, da decenni ormai il regime d’acqua è regolato dalle dighe a monte e non supera mai una certa portata. Osservando le pietre intorno all’alveo si nota che sono invase da poco tempo da muschi e licheni, cosa impossibile se le periodiche massime stagionali e le piene occasionali spazzassero tutto, come sarebbe naturale. Il gioco degli sportivi canoisti sarebbe molto più rischioso se il livello del Verdon non fosse artatamente regolato, basterebbe un temporale per spazzarli chissà fin dove.
Nota: In questi giorni la portata del Verdon è veramente poca. Lo vedono tutti anche dall’alto dalla cornice delle gole. E’ un segno evidente che c’è poca acqua a disposizione, sono diversi anni che piove molto meno del normale e da quest’inverno siamo in un periodo di siccità estrema.
Al mattino, sabato 4 giugno, facciamo colazione allo Chalet de la Maline e quattro chiacchiere con il gestore, parla un buon italiano con un piacevole accento francese, ha lavorato alcuni anni in trentino. E’ abbastanza stupito quando Barbara gli racconta che siamo partiti ieri alle 19 per fare l’Imbut, ci conferma che è il più bello e avventuroso tra i vari sentieri nelle Gorges.
Dedichiamo la mattinata al riposo (sic.), torniamo a la Palud fermandoci ad ogni belvedere, da uno di questi si è a picco sopra l’Imbut. A la Palud visitiamo il piccolo museo che sta sopra l’ufficio turistico e che aprono apposta per noi, non molto interessante, parla principalmente delle attività agresti e pastorali di queste zone. Ripartiamo per fare il giro della Corniche Sublime sur Verdon. Spettacolare come sempre, grandiosi gli spazi, una ventina di puntini discendono il torrente nell'acqua azzurra mentre nel cielo passano ad ali tese i bellissimi grifoni. Ci sono anche alcuni free climbers in piena azione e un gruppo che sta cercando il punto dove calarsi. Anche in questa parte della Corniche ci fermiamo in tutti i belvedere, segue poi una lunga e ripida discesa per tornare allo Chalet de la Maline, dove pranziamo.
Da qui il viaggio di ritorno è lungo, nel pomeriggio ripartiamo in direzione Castellane, vogliamo tornare senza molta autostrada e senza passare dalla costa. Fino a Castellane l’ambiente è ancora quello selvaggio e spettacolare, con gole e appicchi ed il Verdon dall’acqua azzurra che appare e scompare secondo i capricci della strada.
Ci fermiamo a Castellane per una breve visita del centro, poi si riparte verso Briancon.
Passiamo vicino a Gap, in lontananza si vede la falesia di Ceuse, c’è chi dice la più bella del mondo. E qui vicino so che c’è “La Pelle” un’altra bella montagna, di fatto una falesia alta 500 metri e strapiomba di 10, salita con gli amici tanti anni fa.
Arriviamo a Briancon che è un po’ tardi, pranziamo in camper perché dall’area di sosta il centro non è vicinissimo.
Domenica 5 giugno, ci concediamo una seconda colazione in centro a Briancon, poi dritti fino a casa, il traffico è scorrevole, passando dalla costa avremmo rischiato molte code.
Tirando le somme i giorni sono stati pochi ma intensi, e il Verdon ti lascia sempre un ricordo permanente, è davvero speciale.
Vie del centro di Grasse |
Vetrina museo Fragonard |
Cattedrale di Grasse |
Museo di Quinson, questo nucleo di selce è stato riscaldato prima di staccare con un percussore lamine particolarmente piccole e taglienti |
Lago Sainte Croix, procedendo verso La Palud |
Discesa verso l'Imbut |
Il ponte modernissimo che attraversa il Verdon |
Il primo rospo (non si scorda mai) |
Su un masso la scritta Le Styx , lo Stige |
Il punto in cui il Verdon scompare in una grotta |
Durante il ritorno |
Arriviamo al ponte, è quasi buio |
Al mattino iniziamo il giro dei belvedere lungo la Corniche |
A metà della striscia arancione più larga c'è un arrampicatore |
Ci sono due gruppi che scendono il Verdon |
Una colonia di grifoni abbellisce il cielo. |
Castellane |
Castellane, la chiesa |
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