le ferie in camper, Francia e Spagna.
Come già lo scorso anno anche quest’estate gli argomenti di fondo che cerchiamo di approfondire sono le grotte, la preistoria, i dinosauri e come sempre gli ambienti naturali di ogni genere.
Dopo aver lavorato fino all’ultima ora, Barbara ed io partiamo in camper venerdì 3 agosto 2018, alle ore 22:30. Lascio in garage la mia auto con dentro un topo bianco vivo, c’è una gomma sgonfia ed è in riserva di gas e benzina. A volte non si può rimediare agli accidenti che succedono all’ultimo minuto, dobbiamo partire.
Dopo due ore di guida dormiamo in un’area di servizio sull’autostrada, a Ulzio.
Sabato 4. Trasferimento.
Risaliamo ancora la val di Susa fino a Claviere, al passo del Monginevro, e scendiamo a Briançon. Fa impressione vedere dei ciclisti che, nonostante la pancia che arriva al manubrio, pedalano velocemente su per la grande salita, è il miracolo delle bici elettriche.
Scendiamo lungo la bella valle di Briançon, passiamo vicino a Mont Dauphin, famoso per il forte del 1600 e con le sue falesie di conglomerato da arrampicare e le marmotte che si lasciano avvicinare, poi il grande lago artificiale con la splendida acqua azzurra, quindi avanti fino a Gap.
In tutta la zona ci sono bellissime falesie e gole con stratificazioni e pieghe di calcare di ottima qualità, un paradiso per chi arrampica. Compresa la falesia più bella del mondo: Ceuse, un ferro di cavallo di quattromila metri di lunghezza e settanta di altezza di calcare eccezionale.
Arriviamo poi in pianura, con campi di grano e girasoli, paesaggi cangianti ma sempre belli, fino alla catena montuosa delle Cevennes, che sono un parco naturale tra i più importanti della Francia. Una catena di montagne ai margini del Massiccio Centrale francese che racchiude un territorio speciale. Qui è rimasta, grazie all’isolamento, una comunità di cristiani protestanti mentre nel resto della Francia, nel 1600 e 1700, moltissimi furono costretti ad andarsene dal Paese. Risaliamo una stretta valle selvaggia fino ad un colle a 850 metri, poi avanti fino a Florac, un paese lungo la valle del Tarn, un posto ideale per fare canoa, arrampicata e parapendio, ma noi abbiamo in mente grotte e dinosauri. Ci fermiamo per la notte. Sosta camper gratuita nella parte alta del paese, vicino c’è un cimitero, c'è qualcosa di diverso.
Domenica 5 agosto, Obiettivi di oggi sono:
la grotta di Aven
Armand Wiki qui
ed il museo dell’Uomo
di Tautavel
Partiamo da Florac risalendo il lato sinistro, saliamo lentamente con lunghi traversi e tornanti per almeno 900 metri di dislivello e sbuchiamo su uno stupendo enorme e articolato altipiano. Un pianoro ondulato a perdita d’occhio, poche erbe e solo arbusti di bosso; spuntano ovunque rocce di calcare bianco eroso dall’acqua dei millenni. In molti avvallamenti doline carsiche; coltivano grano o fanno un po’ di fieno, sfruttando la raccolta di un minimo di umidità. La strada è stretta ma sempre ben asfaltata. Non c’è quasi nessuno. Un cartello in un bivio nel nulla segnala che qui in zona hanno trovato i resti fossili di un dinosauro precedente di centomila anni il T. Rex. Esiste un piccolo museo ma è in un’altra direzione e dobbiamo rinunciare alla visita, la strada è lunga.
Dall’altra parte del grande altopiano ci aspetta la grotta di Aven Armand. La grotta è una grande sala unica che può contenere la cattedrale di Notre Dame. Una cavità dovuta a scioglimento e crolli nel cuore dell’enorme strato di calcare che forma l’altipiano. Si scende di 80 metri con una teleferica tipo miniera e si sbuca su un lato in alto della grotta. Fa freddo e siamo al buio, poi accendono le luci, meraviglia! Una sala unica enorme, profondissima, ci sono incredibili stalagmiti che salgono dal fondo con forme particolari, a cavolfiore. Le stalattiti invece sono minuscole e originano da fessure parallele della volta, che è quasi piatta, indice di un crollo, mi pare. Un sentiero artificiale ci porta fino al fondo. L`acustica è perfetta, tanto che hanno suonato qui alcune orchestre sinfoniche. Ma la nostra guida parla un francese disinvolto e nonostante l’acustica sia buona non capiamo molto. Risalendo passiamo a fianco della stalagmite più alta del mondo, circa 30 metri. Nel punto più alto della volta si intuisce un buco che sale. Di fatto è un cunicolo che arriva fino alla superficie attraversando decine di metri di calcare. Da lì scesero i primi esploratori nel 1897 (gli speleologi Louis Armand e Edouard Martel , lo scopritore fu un pastore del luogo, certamente). Da quel buco cadeva ogni tanto qualche pecora e qualche umano, come testimoniano le ossa trovate sul fondo.
Usciamo dopo più di un’ora passando da 10 a 30 e più gradi dell’esterno. È bello pensare che forse sul fondo di uno dei tanti avvallamenti del pianoro c’è un analogo foro e sotto un’altra grotta, come al solito mi viene voglia di fermarmi qui ad esplorare e osservare… ma Barbara non mi lascia.
Usciamo e ripartiamo verso la costa per vedere il museo dell’Uomo di Tautavel.
Arriviamo stanchi, fa molto caldo. Tautavel è un minuscolo paesino a lato di una stupenda piccola valle, chiusa da una catena di monti oltre la quale c’è una piana che arriva fino al mare. Siamo poco lontani dal confine con la Spagna.
A giudicare dai disegni e foto esposte, dal punto in cui si trova la grotta dove è stato trovato il cranio dell’Uomo di Tautavel, si gode una vista bella, da film: la valle piana, il torrente e in lontananza una catena di alte montagne. La visita al museo dura meno di un’ora, si tratta forse dell’ominide più antico d’Europa, discendente dell’Homo Erectus e che precede la comparsa dell’uomo di Neanderthal. La grotta è vasta e articolata, ma diversi crolli nei millenni passati hanno isolato la parte interna, trasformandola in un museo. Poche cose, ma c’è un cranio di ominide che la dice lunga per gli addetti ai lavori, lo scheletro di un orso delle spelonche probabilmente morto durante il letargo, e uno spiazzo con i resti che raccontano di un pasto occasionale di pochi cacciatori che si sono fermati a mangiare insieme, non ci sono tracce di fuoco. È la scena di un film di 450.000 anni fa, all’inizio della glaciazione di Mindel. Il resto della grotta, più esterno, è stato utilizzato in modo discontinuo nei millenni successivi, anche da greggi, ma nelle stratificazioni sul fondo della grotta sono rimaste le tracce continue delle attività di chi l’ha abitata. Il clima è cambiato molte volte, per lunghi periodi in questa valle c'erano anche elefanti, grandi felini, grandi mufloni e cavalli.
Cerchiamo un campeggio nei dintorni, 15 km in auto al tramonto tra vallette di calcare e terra rossa, ambienti da grotte... qualcosa ci sarà ancora da scoprire… vien voglia di fermarsi qua a cercare, l’ambiente è stupendo, almeno ai miei occhi.
Prima che faccia notte scoviamo un piccolo campeggio nei dintorni, tanta gente, nessun camper.
Bisonti europei, incontrati durante il trasferimento
L'Uomo di Tautavel corrisponde alla O , prima dell'uso del fuoco.
Lunedì 6. Ripartiamo per visitare il museo di Salvador Dalí a Figueres, in Spagna.
Il territorio che attraversiamo è sempre di magnifico calcare, con strati e faglie e zone di terra rossa. Il calcare è la mia roccia preferita, per me rappresenta il sole, il caldo, le escursioni in libertà, l’arrampicata libera, insomma è una roccia felice. La terra rosso scuro che spesso è presente in tutte le zone calcaree è lo stadio finale della sua alterazione.
L’ ultimo paese sul confine tra Francia e Spagna è pieno di gente che compra.
Proseguiamo fino a Figueres. Per accedere al museo si fa una doppia coda, prima per il biglietto, poi per entrare… le bizzarrie cominciano già fuori dal museo. Fa un caldo infernale, la fila di persone gira intorno alla piazzetta stando vicino ai muri dove c’è un metro d’ombra. I visitatori sono moltissimi, per evitare la coda cerchiamo di comprare il biglietto su internet, ma c’è un limite di orario che ce lo vieta, diabolici questi spagnoli.
Il museo è interessante, strambo e geniale, l’eccentricità è ovunque, ma qua e là emerge il talento. La super donna di bronzo che per prima accoglie il visitatore è di fortissimo impatto, sia per le dimensioni che per le forme, e ha le tette che buttano latte. Arriva una visitatrice di analoghe generose forme, vestita in lungo e di rosso, si presta a posare per le foto di un suo accompagnatore, aumenta il caldo.
La visita al museo dura almeno due ore, usciamo e ripartiamo verso la zona nord dei Pirenei. Barbara ci tiene a fare il Train de l’Artouste, il treno più alto d’Europa.
Lungo la bellissima superstrada, vicino a Manresa, si vede in lontananza un incredibile profilo frastagliato di montagne. Solo vari giorni dopo, tornando verso casa, visiteremo il Monastero di Monserrat, appollaiato su quelle pareti.
Ci fermiamo per dormire a Calaf, piccolo paese agricolo e industriale. Bella la piazzetta della chiesa con vari portici. La parte vecchia del paese è vuota, ma nel piano c’è la zona nuova con condomini e industrie; in alto il castello antico in ricostruzione.
Martedì 7. Obiettivo il Treno dell’Artouste.
Riprendiamo la superstrada verso Llanes, città sulla costa con bellissime spiagge, bombardata pesantemente da una squadra di aerei italiani durante la guerra civile spagnola nel ‘39. Aerei inviati credo da Mussolini in aiuto alle forze di destra spagnole di Francisco Franco. Saliamo verso nord e rientriamo in Francia attraversando un grande colle molto alto. Si scende poi per un lungo tratto una ripida valle francese (valle d’Ossau, se non erro) fino ad un lago artificiale, Lac Fabrige. Una lunga e ripidissima funivia, con cabine da 6 posti, ci porta sotto un colle, a circa 1900 metri. Aspettiamo il nostro turno, l’organizzazione è giustamente meticolosa e prendiamo il trenino, che è scoperto, con vagoncini di 4 posti. Dopo una galleria di 300 metri, il trenino sbuca nella parte alta di un’enorme bellissima valle, per 8 o 10 km si viaggia su una cornice altissima. Il trenino è trainato da una piccola locomotiva diesel; il macchinista sta seduto di traverso al treno, tiene d’occhio i passeggeri nei vagoncini e le rotaie davanti. I vagoncini hanno sedili da due posti fatti in modo che si possano capovolgere, in questo modo si può invertire il senso di marcia del treno girando solo la motrice. Il percorso finisce appena sotto ad un lago alpino, chiuso da una troppo bella diga di granito che raggiungiamo a piedi (Lago di Artouste). I piccoli treni che portano frotte di turisti sono almeno 8. Lungo il tragitto ci sono sdoppiamenti di binario dove i treni si aspettano; a tratti si viaggia quasi nel vuoto. Al ritorno sale la nebbia e negli ultimi minuti di viaggio comincia a piovere forte. Quando riprendiamo la funivia inizia un temporale con tuoni e fulmini. Appena entrati nella piccola cabina che si affaccia alla vertiginosa discesa manca la corrente; con noi ci sono due bimbi con il papà, i bimbi hanno paura. Dopo circa 15 minuti torna la corrente e si scende. Riprendiamo la strada del ritorno salendo verso il colle, il torrente che scende la valle è diventato un fiume di fango ribollente, il cielo è ancora nero, il temporale ha fatto qualche danno, qualche escursionista se la sarà vista brutta...
Risaliamo fino al colle e scendiamo di nuovo in Spagna. È ormai buio ma scendiamo fino a bassa quota per evitare il freddo dopo il temporale. Arriviamo in un paesino dove pernottiamo con altri camper, al buio vicino ad un torrente impetuoso.
Mercoledì
8. Ripartiamo verso il deserto della Navarra: Bardenas Reales de Navarra. Wiki qui
Dopo Jaca, con la sua bellissima Cittadella Militare (del 1595 !), visitata lo scorso anno, si percorre una piccola strada in ambienti geologicamente spettacolari. In una vasta zona ci sono strati di arenaria e marne ruotati fino ad essere verticali. Dopo una gola vicino ad Ayerbe c’è un complesso montuoso spettacolare, con una enorme torre di almeno duecento metri. Peccato non poterci fermare… magari si arrampica.
Attraversiamo poi una zona immensa con
agricoltura estensiva e pochi allevamenti. Arriviamo infine all’entrata del
parco del deserto della Navarra. Il punto di accesso apre alle 16, ma da un
primo belvedere si vede già
molto, una piana enorme a perdita d’occhio. Guardo il terreno arido e sabbioso,
ci sono alcuni sassi chiari, manca la lavagna e lo strofinaccio, ma riconosco
lo stesso il Gesso.
Questo deserto è grande circa come
il Biellese. Pochi arbusti e qualche albero lungo piccoli corsi d’acqua; uno
strato di Gesso si alterna a strati di argilla. Ci sono anche strati di
arenaria che a volte proteggono le fasce sottostanti, più friabili. Non si può dire che manchi l’acqua…
e allora perché
è un deserto?
La causa è il
Gesso.
Piccoli canyon formati
dall’acqua, grandi e piccole alture con strati color ocra e rosa, pareti
verticali e pinnacoli di grande effetto. Un gran bel territorio, molto
spettacolare, mantenuto desertico soprattutto dal Gesso.
È permessa la visita a piedi
in bici e in auto, senza uscire dai sentieri. In camper abbiamo fatto un
percorso di 30 km, quasi a passo d’uomo, la polvere chiara entra dappertutto.
Con le luci del tramonto deve essere uno spettacolo ancora maggiore! Sulle
alture più evidenti volteggiano grandi
uccelli rapaci, sono grifoni e penso che, come in altri posti, siano mantenuti
con dei carnai, a beneficio del turismo. Alle sei circa ripartiamo in direzione
di Logroño e ci
fermiamo al campeggio La Playa, lo stesso dello scorso anno. È un po’ stretto, anche per un
piccolo camper come il nostro, ma per una notte va più che bene.
Domenica 5 agosto, Obiettivi di oggi sono:
la grotta di Aven
Armand Wiki qui
ed il museo dell’Uomo
di Tautavel
Partiamo da Florac risalendo il lato sinistro, saliamo lentamente con lunghi traversi e tornanti per almeno 900 metri di dislivello e sbuchiamo su uno stupendo enorme e articolato altipiano. Un pianoro ondulato a perdita d’occhio, poche erbe e solo arbusti di bosso; spuntano ovunque rocce di calcare bianco eroso dall’acqua dei millenni. In molti avvallamenti doline carsiche; coltivano grano o fanno un po’ di fieno, sfruttando la raccolta di un minimo di umidità. La strada è stretta ma sempre ben asfaltata. Non c’è quasi nessuno. Un cartello in un bivio nel nulla segnala che qui in zona hanno trovato i resti fossili di un dinosauro precedente di centomila anni il T. Rex. Esiste un piccolo museo ma è in un’altra direzione e dobbiamo rinunciare alla visita, la strada è lunga.
Dall’altra parte del grande altopiano ci aspetta la grotta di Aven Armand. La grotta è una grande sala unica che può contenere la cattedrale di Notre Dame. Una cavità dovuta a scioglimento e crolli nel cuore dell’enorme strato di calcare che forma l’altipiano. Si scende di 80 metri con una teleferica tipo miniera e si sbuca su un lato in alto della grotta. Fa freddo e siamo al buio, poi accendono le luci, meraviglia! Una sala unica enorme, profondissima, ci sono incredibili stalagmiti che salgono dal fondo con forme particolari, a cavolfiore. Le stalattiti invece sono minuscole e originano da fessure parallele della volta, che è quasi piatta, indice di un crollo, mi pare. Un sentiero artificiale ci porta fino al fondo. L`acustica è perfetta, tanto che hanno suonato qui alcune orchestre sinfoniche. Ma la nostra guida parla un francese disinvolto e nonostante l’acustica sia buona non capiamo molto. Risalendo passiamo a fianco della stalagmite più alta del mondo, circa 30 metri. Nel punto più alto della volta si intuisce un buco che sale. Di fatto è un cunicolo che arriva fino alla superficie attraversando decine di metri di calcare. Da lì scesero i primi esploratori nel 1897 (gli speleologi Louis Armand e Edouard Martel , lo scopritore fu un pastore del luogo, certamente). Da quel buco cadeva ogni tanto qualche pecora e qualche umano, come testimoniano le ossa trovate sul fondo.
Usciamo dopo più di un’ora passando da 10 a 30 e più gradi dell’esterno. È bello pensare che forse sul fondo di uno dei tanti avvallamenti del pianoro c’è un analogo foro e sotto un’altra grotta, come al solito mi viene voglia di fermarmi qui ad esplorare e osservare… ma Barbara non mi lascia.
Usciamo e ripartiamo verso la costa per vedere il museo dell’Uomo di Tautavel.
Arriviamo stanchi, fa molto caldo. Tautavel è un minuscolo paesino a lato di una stupenda piccola valle, chiusa da una catena di monti oltre la quale c’è una piana che arriva fino al mare. Siamo poco lontani dal confine con la Spagna.
A giudicare dai disegni e foto esposte, dal punto in cui si trova la grotta dove è stato trovato il cranio dell’Uomo di Tautavel, si gode una vista bella, da film: la valle piana, il torrente e in lontananza una catena di alte montagne. La visita al museo dura meno di un’ora, si tratta forse dell’ominide più antico d’Europa, discendente dell’Homo Erectus e che precede la comparsa dell’uomo di Neanderthal. La grotta è vasta e articolata, ma diversi crolli nei millenni passati hanno isolato la parte interna, trasformandola in un museo. Poche cose, ma c’è un cranio di ominide che la dice lunga per gli addetti ai lavori, lo scheletro di un orso delle spelonche probabilmente morto durante il letargo, e uno spiazzo con i resti che raccontano di un pasto occasionale di pochi cacciatori che si sono fermati a mangiare insieme, non ci sono tracce di fuoco. È la scena di un film di 450.000 anni fa, all’inizio della glaciazione di Mindel. Il resto della grotta, più esterno, è stato utilizzato in modo discontinuo nei millenni successivi, anche da greggi, ma nelle stratificazioni sul fondo della grotta sono rimaste le tracce continue delle attività di chi l’ha abitata. Il clima è cambiato molte volte, per lunghi periodi in questa valle c'erano anche elefanti, grandi felini, grandi mufloni e cavalli.
Cerchiamo un campeggio nei dintorni, 15 km in auto al tramonto tra vallette di calcare e terra rossa, ambienti da grotte... qualcosa ci sarà ancora da scoprire… vien voglia di fermarsi qua a cercare, l’ambiente è stupendo, almeno ai miei occhi.
Prima che faccia notte scoviamo un piccolo campeggio nei dintorni, tanta gente, nessun camper.
Bisonti europei, incontrati durante il trasferimento |
L'Uomo di Tautavel corrisponde alla O , prima dell'uso del fuoco. |
Lunedì 6. Ripartiamo per visitare il museo di Salvador Dalí a Figueres, in Spagna.
Il territorio che attraversiamo è sempre di magnifico calcare, con strati e faglie e zone di terra rossa. Il calcare è la mia roccia preferita, per me rappresenta il sole, il caldo, le escursioni in libertà, l’arrampicata libera, insomma è una roccia felice. La terra rosso scuro che spesso è presente in tutte le zone calcaree è lo stadio finale della sua alterazione.
L’ ultimo paese sul confine tra Francia e Spagna è pieno di gente che compra.
Proseguiamo fino a Figueres. Per accedere al museo si fa una doppia coda, prima per il biglietto, poi per entrare… le bizzarrie cominciano già fuori dal museo. Fa un caldo infernale, la fila di persone gira intorno alla piazzetta stando vicino ai muri dove c’è un metro d’ombra. I visitatori sono moltissimi, per evitare la coda cerchiamo di comprare il biglietto su internet, ma c’è un limite di orario che ce lo vieta, diabolici questi spagnoli.
Il museo è interessante, strambo e geniale, l’eccentricità è ovunque, ma qua e là emerge il talento. La super donna di bronzo che per prima accoglie il visitatore è di fortissimo impatto, sia per le dimensioni che per le forme, e ha le tette che buttano latte. Arriva una visitatrice di analoghe generose forme, vestita in lungo e di rosso, si presta a posare per le foto di un suo accompagnatore, aumenta il caldo.
La visita al museo dura almeno due ore, usciamo e ripartiamo verso la zona nord dei Pirenei. Barbara ci tiene a fare il Train de l’Artouste, il treno più alto d’Europa.
Lungo la bellissima superstrada, vicino a Manresa, si vede in lontananza un incredibile profilo frastagliato di montagne. Solo vari giorni dopo, tornando verso casa, visiteremo il Monastero di Monserrat, appollaiato su quelle pareti.
Ci fermiamo per dormire a Calaf, piccolo paese agricolo e industriale. Bella la piazzetta della chiesa con vari portici. La parte vecchia del paese è vuota, ma nel piano c’è la zona nuova con condomini e industrie; in alto il castello antico in ricostruzione.
Martedì 7. Obiettivo il Treno dell’Artouste.
Riprendiamo la superstrada verso Llanes, città sulla costa con bellissime spiagge, bombardata pesantemente da una squadra di aerei italiani durante la guerra civile spagnola nel ‘39. Aerei inviati credo da Mussolini in aiuto alle forze di destra spagnole di Francisco Franco. Saliamo verso nord e rientriamo in Francia attraversando un grande colle molto alto. Si scende poi per un lungo tratto una ripida valle francese (valle d’Ossau, se non erro) fino ad un lago artificiale, Lac Fabrige. Una lunga e ripidissima funivia, con cabine da 6 posti, ci porta sotto un colle, a circa 1900 metri. Aspettiamo il nostro turno, l’organizzazione è giustamente meticolosa e prendiamo il trenino, che è scoperto, con vagoncini di 4 posti. Dopo una galleria di 300 metri, il trenino sbuca nella parte alta di un’enorme bellissima valle, per 8 o 10 km si viaggia su una cornice altissima. Il trenino è trainato da una piccola locomotiva diesel; il macchinista sta seduto di traverso al treno, tiene d’occhio i passeggeri nei vagoncini e le rotaie davanti. I vagoncini hanno sedili da due posti fatti in modo che si possano capovolgere, in questo modo si può invertire il senso di marcia del treno girando solo la motrice. Il percorso finisce appena sotto ad un lago alpino, chiuso da una troppo bella diga di granito che raggiungiamo a piedi (Lago di Artouste). I piccoli treni che portano frotte di turisti sono almeno 8. Lungo il tragitto ci sono sdoppiamenti di binario dove i treni si aspettano; a tratti si viaggia quasi nel vuoto. Al ritorno sale la nebbia e negli ultimi minuti di viaggio comincia a piovere forte. Quando riprendiamo la funivia inizia un temporale con tuoni e fulmini. Appena entrati nella piccola cabina che si affaccia alla vertiginosa discesa manca la corrente; con noi ci sono due bimbi con il papà, i bimbi hanno paura. Dopo circa 15 minuti torna la corrente e si scende. Riprendiamo la strada del ritorno salendo verso il colle, il torrente che scende la valle è diventato un fiume di fango ribollente, il cielo è ancora nero, il temporale ha fatto qualche danno, qualche escursionista se la sarà vista brutta...
Risaliamo fino al colle e scendiamo di nuovo in Spagna. È ormai buio ma scendiamo fino a bassa quota per evitare il freddo dopo il temporale. Arriviamo in un paesino dove pernottiamo con altri camper, al buio vicino ad un torrente impetuoso.
Mercoledì
8. Ripartiamo verso il deserto della Navarra: Bardenas Reales de Navarra. Wiki qui
Dopo Jaca, con la sua bellissima Cittadella Militare (del 1595 !), visitata lo scorso anno, si percorre una piccola strada in ambienti geologicamente spettacolari. In una vasta zona ci sono strati di arenaria e marne ruotati fino ad essere verticali. Dopo una gola vicino ad Ayerbe c’è un complesso montuoso spettacolare, con una enorme torre di almeno duecento metri. Peccato non poterci fermare… magari si arrampica.
Attraversiamo poi una zona immensa con
agricoltura estensiva e pochi allevamenti. Arriviamo infine all’entrata del
parco del deserto della Navarra. Il punto di accesso apre alle 16, ma da un
primo belvedere si vede già
molto, una piana enorme a perdita d’occhio. Guardo il terreno arido e sabbioso,
ci sono alcuni sassi chiari, manca la lavagna e lo strofinaccio, ma riconosco
lo stesso il Gesso.
Questo deserto è grande circa come
il Biellese. Pochi arbusti e qualche albero lungo piccoli corsi d’acqua; uno
strato di Gesso si alterna a strati di argilla. Ci sono anche strati di
arenaria che a volte proteggono le fasce sottostanti, più friabili. Non si può dire che manchi l’acqua…
e allora perché
è un deserto?
La causa è il
Gesso.
Piccoli canyon formati
dall’acqua, grandi e piccole alture con strati color ocra e rosa, pareti
verticali e pinnacoli di grande effetto. Un gran bel territorio, molto
spettacolare, mantenuto desertico soprattutto dal Gesso.
È permessa la visita a piedi
in bici e in auto, senza uscire dai sentieri. In camper abbiamo fatto un
percorso di 30 km, quasi a passo d’uomo, la polvere chiara entra dappertutto.
Con le luci del tramonto deve essere uno spettacolo ancora maggiore! Sulle
alture più evidenti volteggiano grandi
uccelli rapaci, sono grifoni e penso che, come in altri posti, siano mantenuti
con dei carnai, a beneficio del turismo. Alle sei circa ripartiamo in direzione
di Logroño e ci
fermiamo al campeggio La Playa, lo stesso dello scorso anno. È un po’ stretto, anche per un
piccolo camper come il nostro, ma per una notte va più che bene.
Giovedì
9. Obiettivo di oggi è
il Museo Marittimo di Cantabria, a Santander.
Il percorso ci porta a
ripassare da Ona, paesino dove siamo già
stati l’ anno scorso, dove c’è
la casa museo della resina. A Santander, grande città industriale, il museo MMC è molto, molto
interessante. Scheletri di balene di vari tipi, un polpo gigante imbalsamato di
venti metri, un bell’acquario marino, spiegazioni molto chiare sui vari tipi di
pesca: pesca di vongole e mariscos, pesca con nasse o fiocine, e dalle navi con
tanti tipi di reti. Poi ci sono attrezzi e spiegazioni sulla costruzione di
navi di legno, fucili, archibugi, le camere degli ufficiali dei velieri e di un
naturalista danno un’idea di cosa erano i viaggi alla scoperta del mondo. E
ancora le battaglie navali avvenute in queste regioni. C’è un sorprendente orologio
solare tascabile, sestanti, alidada, il sistema solare meccanico a manovella.
L’industria della pesca qui si è
sviluppata grazie ad una famiglia di italiani. Interessanti anche i reperti
marini, ancore di pietra a triangolo, cannoni, un barilotto di palle da
archibugio, oggetti romani, anche un’ascia paleolitica. E infine il radar e
oggetti più
moderni. È citata e ben documentata l’esplosione di una nave carica di dinamite
avvenuta nel porto di Santander nel 1893.
Dopo un po’ si ha la
misura di quanta parte dello sviluppo umano sia dovuto alle attività marinaresche,
attività dure e
pericolose, cariche di avventura e coraggio. È un museo entusiasmante e
commovente.
La città di Santander è grande, ma poco ospitale per
i camper. A fatica troviamo un posto camper vicino ad un molo in zona aeroporto.
Cena in un locale del porto, ottimo vino e doppia portata di acciughe fritte,
finalmente! Molto simpatici i gestori, ci rincorrono per darci il resto. Trovo
interessante osservare un gruppo di signori e signore molto anziani che bevono
cocktail prima di cena, probabilmente sono proprietari di barche; le donne in
particolare hanno un aspetto di vita vissuta, di viaggi e di ricchezza, un po’
sfatte per l’età i troppi drink e il fumo.
Chissà cosa potrebbero raccontare.
Venerdì
10. Museo Preistorico de Cantabria e grotta di Tito Bustillo a Ribadesella
Torniamo in città e giriamo a lungo
prima di trovare parcheggio. Il Museo inizia dal paleolitico e termina con i
reperti romani trovati nella regione. Belli alcuni scheletri di orso e crani
umani. In Cantabria vissero anche mammut e cervi enormi, rinoceronti e altri
animali ora africani. Ci sono belle rappresentazioni degli uomini preistorici:
i Neanderthal sono sempre raffigurati biondi e con occhi azzurri.
Qui in Cantabria le
quattro glaciazioni principali e i periodi interglaciali hanno lasciato segni
importanti, e la vita degli animali e delle piante si è sempre adattata… anche la specie umana
ha superato diverse glaciazioni, Mindel (455-300 mila anni fa), Riss (200-130)
e Wurm (110-12 mila anni fa). Da come ci stiamo comportando ora, è molto probabile che
il genere umano finirà
estinto molto presto, portando con sé
chissà quante
specie animali e vegetali. L’Uomo
passerà alla
storia come una forma di vita che si è
evoluta in un milione di anni e poi in pochi anni ha sfruttato in fretta tutte
le riserve di ricchezza che la Terra aveva accumulato nel sottosuolo per mille
milioni di anni. Proprio ora stiamo segando il ramo su cui siamo seduti e
cadremo rovinosamente. E dire che siamo intelligenti…
Raffigurazione di un Neanderthal |
Gli utensili di osso sono tipici del magdaleniano (18-17.000 - 11-10.000 anni fa, verso la fine dell'ultima glaciazione) |
E' famosa questa bellissima testa di caprra incisa in un osso |
La bellezza delle asce |
Le amigdale hanno un fascino primordiale |
Ripartiamo per Ribadesella, una cittadina nelle Asturie, sulla costa, dove vedremo il museo della grotta di Tito Bustillo.
La grotta vera non è visitabile perchè prenotata fino a settembre; per conservare le delicate pitture hanno limitato a pochi visitatori al giorno l’accesso alla grotta.
Quest’anno ricorre il cinquantenario dalla scoperta da parte di un gruppo di ragazzi, giovani speleologi. È stata una scoperta importante per via dei dipinti e graffiti che sono presenti sulle pareti, a volte sovrapposti. Cavalli, renne e bisonti risalgono a 12-15.000 anni fa, di grande effetto pittorico.
I colori sono ocra, rosso, nero e violetto, e sono fatti usando le terre del posto. Alcune teste di cavallo e una cerva sono i pezzi migliori, per la finezza del disegno e per le sfumature di colore che cercano di ricreare la tridimensionalità. La grotta è molto lunga, scavata da un torrente sotterraneo che poi trovò un percorso ancora più in basso, magie del carsismo. Gli autori delle pitture facevano quindi un lungo tragitto, probabilmente con torce accese, prima di produrre i loro capolavori sulle pareti di una grande sala: animali bellissimi, cervi, cavalli, bovini. In una camera lontana ci sono disegnate delle vulve.
Mi domando perché degli artisti così bravi venissero in fondo ad una grotta a dipingere questi capolavori, forse sapevano che solo qui avrebbero avuto qualche speranza di essere visti in futuro? E cosa dipingevano alla luce del sole?
Anche senza vedere la grotta il museo ci comunica e ci fa rivivere l’emozione della scoperta fatta dai ragazzi del paese. È stata intitolata a Tito Bustillo, forse il capo del gruppo di giovani speleologi quando, un anno dopo, il ragazzo è morto in un incidente in montagna.
Abbiamo poi dormito in un campeggio sempre a Ribadesella.
Sabato 11. Nostri obiettivi sono i Picos de Europa, il Monastero di Covadonga e il Museo dei Dinosauri, a Colunga.
I Picos de Europa sono una catena montuosa che fa parte della Cordigliera Cantabrica. È un grande territorio, forse il primo Parco Nazionale spagnolo. I Picos pare si chiamino così perché sono la prima catena di monti europei che appare all’orizzonte arrivando dall’America.
Tra le tante mete possibili (già lo scorso anno avevamo fatto qualcosa di eccezionale in questa zona, la Ruta del Carres ) scegliamo il Monastero e i laghi di Covadonga.
Lasciamo il camper nei pressi del Monastero di Covadonga, che visiteremo al ritorno, e saliamo ai Laghi mediante un servizio di grossi e bellissimi pullman che risalgono freneticamente queste stradine di montagna, molto strette e appoggiate su formazioni calcaree erose e fragili, con spaventosi dislivelli a destra e manca. Io ci andrei più prudente… se crolla un pezzo di strada… Comunque dopo 12 km di curve e precipizi scendiamo sani e salvi vicino a due laghi bellissimi a 1200 metri circa, a Cangas de Onis.
La zona è davvero bellissima, zona di caccia e vacanza dei regnanti delle Asturie. Facciamo a piedi un percorso ad anello per raggiungere i due laghi. Enormi prati e spazi aperti, molte vacche e tori girano liberi, e qualche pecora. Le vette dei Picos veri e propri sono lontane, qui è ancora tutto verde, ma le rocce comunque sono di calcare molto bello, con le tipiche scanalature di scioglimento dovuto alla pioggia dei millenni.
Scendiamo di nuovo con il bus i dodici km (alcuni da incubo, per me che vedo le erosioni carsiche a pochi metri dalla strada) e a Covadonga visitiamo il santuario e la grotta con la cappella dove è venerata la Vergine di Covadonga, una delle tante Madonne Nere. Molti visitatori e pellegrini. Covadonga nel 722 fu il teatro di una importante battaglia dei Cristiani contro i Mori, fu la prima battaglia vinta dai Cristiani che diede l’inizio alla cacciata dei Mori dalla Spagna, ma ci vollero secoli!
La cappella della Vergine di Covadonga |
Torniamo verso la costa e a Colunga visitiamo il Museo dei Dinosauri.
Museo moderno e bellissimo !! Un edificio fatto da tre parti che rappresentano la zampa di un dinosauro (come da impronte trovate in Asturia), con grandi spazi anche all’esterno; una terrazza si affaccia sull’oceano in basso e lontano.
Sono rappresentati e ben spiegati i periodi del premesozoico e del mesozoico, il triassico, il giurassico, il cretaceo. Ci sono scheletri dei più rappresentativi tra i grandi sauri, molti calchi di reperti di tutto il mondo, ma ci sono sale specifiche del giurassico asturiano, tutto ben presentato e con chiare e incisive spiegazioni. Usciamo dal museo con le idee un po' più chiare del mondo dei grandi sauri.
Una lunga pagina della vita sulla Terra, una pagina che avrebbe potuto continuare a lungo e con chissà quali evoluzioni. Ci vuole proprio un museo così. Nonostante la presenza inequivocabile dei reperti si stenta a credere che il mondo dei grandi sauri sia esistito davvero. Stando qui ci si fa una misura dei milioni di anni, concretizzata da questi oggetti, e nasce dentro di noi la voglia di essere stati presenti.
Uscire da un museo come questo e tornare ad oggi, anche se è un giorno di vacanza, ci lascia abbastanza scossi. Ma ormai è l’ora della chiusura, ed è arrivato per noi il meteorite (campanello) che pone termine alla nostra era dei dinosauri. Peccato, avremmo fatto un secondo giro volentieri.
Senza allontanarci molto troviamo una area sosta a Colunga, dove passiamo la notte.
Il museo dei dinosauri |
Domenica 12. Decidiamo di visitare la Costa Verde, dopo Gijon fino alla fine dell’Asturia.
La giornata è molto luminosa e viaggiando si susseguono paesaggi bellissimi e cangianti, i girasoli nei campi che sulla costa francese del Mediterraneo erano ormai maturi e sfioriti, qui al nord sono in piena fioritura e brillano di verde e di giallo. Fattorie, bestiame, prati verdi e ogni tanto falesie di calcare striate di nero profondo dove scende una vena d’umidità. Usciamo dalla grande autovia, che, veleggiando sempre in alto, segue la costa, per vedere Gijon.
Di Gijon visitiamo La Laboral, un enorme complesso architettonico con finalità culturali ispirato al Partenone, costruito subito dopo la guerra tra il 46 e il 56. Tutto di blocchi di arenaria con enormi colonne di granito grigio e granito rosa, un marmo fossilifero pieno di conchiglie bianche che staccano sul fondo rosso mattone. Un campanile supera i 100 metri ed è il più grande edificio della Spagna.
Le manie di grandezza portano a queste enormi cattedrali nel deserto. Uno spreco immane di energia e di pietre che stavano bene dove erano. Anche i marmi e le rocce di qualità non sono infiniti, e saccheggiarli per dare sfarzo ad un edificio mi sembra un’eresia.
Ripartiamo verso la Costa Verde. Facciamo un errore volontario e usciamo dalla autovia per visitare una cittadina sulla costa dove è indicata una playa, vogliamo vedere il mare. Finiamo con il camper tra le viuzze della città e imbocchiamo la strada verso la playa. Lungo il marciapiede c'è una fila infinita di persone e ne escono ancora dalle case, tutti vestiti abbastanza bene, e vanno di buon passo, centinaia e centinaia, gente di tutte le età, bambini e anziani. La playa è ancora un bel po’ lontana, tanto che noi ci stufiamo e decidiamo di tornare indietro. Sembra che la città si stia svuotando, forse è passato il pifferaio magico e li sta portando tutti ad affogare nell'oceano, non lo sapremo mai, torniamo a prendere l'autovia.
Insomma della Costa Verde vediamo ben poco, ma ci occorreva andare ad est per poi scendere verso Lugo ed altre mete.
Ci fermiamo a Tapia Casariego, l'ultimo paese delle Asturie. Area sosta camper in alto sul mare, è l’ora del tramonto. Facciamo il giro del paese, il mare è agitato e schiuma sulle scogliere, c'è l’alta marea, le spiagge sono tutte coperte. Dal mare arriva un forte vento e dev’essere una cosa abituale qui. Hanno murato alcuni tratti tra gli alti scogli creando delle piscine naturali, protette dal vento. Cerchiamo un ristorante perché abbiamo voglia, qui sull’Atlantico, di mangiare sardine fritte, ma è troppo presto, in questo posto turistico mangiano tutti più tardi e le sardine non ci sono in nessun menù, forse è roba da poveri.
Lunedì 13. A sud, scopriamo il Castro di Viladonga, uno zoo e arriviamo a Lugo.
Scendiamo verso Lugo, che è un’antica città caratterizzata da una incredibile cerchia di mura romane, perfettamente conservate. Strada facendo, in mezzo a boschi e foreste, vediamo le indicazioni di un museo archeologico. Si tratta del Castro de Viladonga, un antico villaggio fortificato abitato dall’Età del Ferro fino a dopo l’arrivo dei Romani, veramente spettacolare. È una bella sorpresa scoprire che erano così i centri abitati della Spagna prima dell’arrivo dei Romani e ancora molto dopo. In Italia non abbiamo, che io sappia, tracce di villaggi analoghi. La Galizia è sempre bellissima, con la sua rigogliosa vegetazione e agricoltura, e ora ci stupisce con questo semplice e meraviglioso villaggio, e ce ne sono altri in tutta la regione. Questo è uno dei più belli ed è difeso da cerchie di terrapieni. Il piccolo museo, gratuito, è ordinato e interessante, faccio un giro tra le viuzze e aguzzo la vista... ci può essere ancora qualcosa da trovare…
Il Castro de Viladonga
Ripartiamo e prima di arrivare a Lugo vediamo un cartello e andiamo a visitare uno zoo. Un grande zoo in mezzo ai boschi lontano dalle città, è abbastanza interessante e molto ben ambientato, sono notevoli il lupo, la renna e due linci.
A Lugo ci fermiamo in un’area sosta vicino al centro sportivo comunale, saliamo in centro. Il centro di Lugo è circondato dalle mura romane enormi e perfettamente integre, due chilometri di mura alte dieci metri sulle quali c’è un ampio camminamento, molto simili alle mura di Lucca. Bella la cattedrale, molto spagnola. Mangiamo in un piccolo ristorante, c’è un gruppo di italiani che sta facendo il Cammino di Santiago, facciamo quattro chiacchiere e ci spacciamo per pellegrini anche noi, ottima cena con 20 euro in due.
Prima di dormire facciamo il giro della città sopra le mura romane ottimamente illuminate, sembra incredibile che abbiano millesettecento anni.
Martedì 14. Visita a Las Medulas, a Ponferrada. Wiki qui
Las Medulas è stata la miniera d’oro sfruttata dai Romani dopo aver abbandonato la nostra Bessa, vicino a Biella, nel secondo secolo dopo Cristo.
È impressionante la dimensione e il volume delle montagne che hanno lavorato. Rimangono oggi delle pareti alte fino a cento metri color rosso mattone. La roccia è un conglomerato a matrice di argilla. Uno strato d'argilla rossa e pura spesso un metro appare in tutte le pareti quasi verticali di questi picchi. In molti punti si vedono ancora i cunicoli che furono scavati per poi far franare con l’acqua il terreno. Per portare l’acqua fino a qui i Romani fecero un canale di 83 km in mezzo alla montagne. Ci lavoravano gli abitanti locali, ma era un lavoro rischioso. Dopo aver scavato piccole gallerie nel friabile conglomerato di argilla deviavano la roggia nei cunicoli scavati fino a far ammorbidire l’argilla e far franare il tutto. Tolti poi i sassi e le ghiaie, si selezionavano con i lavaggi i materiali pesanti e infine, forse con la batea (il piatto del cercatore d’oro) si faceva l’ultimo lavaggio che faceva apparire l’oro. Furono impiegati fino a seimila operai in contemporanea.
Notevole il quantitativo stimato di oro che qui è stato estratto: più di un milione e mezzo di chilogrammi, in due secoli e più. Quando poi l’oro non fu più usato per le monete, e si usarono altri metalli o leghe, la richiesta di oro calò e cessò l’estrazione (che unitariamente non era molto redditizia). La visita a questa meraviglia è una camminata di un paio d’ore; ci sono vari percorsi più o meno lunghi, a volte con forti dislivelli, ma ne vale la pena! È uno spettacolo grandioso.
Qui si vedono le colate dell'argilla che si scioglie con la pioggia
Nel tardo pomeriggio partiamo per raggiungere gli amici a Braganza, in Portogallo.
Viaggiamo su un altopiano, percorriamo almeno 50 km senza incontrare un paese, superando tre alti colli. La Spagna per i lunghi tragitti ha delle superstrade veramente magnifiche, nulla da invidiare alle nostre autostrade, mancano solo le aree di servizio. O meglio, è in Italia che sono di troppo.
Oggi, mentre viaggiamo, ci raggiunge la notizia della caduta di un viadotto autostradale a Genova, ci riempie di tristezza.
In Portogallo si torna indietro di un’ora. Raggiungiamo gli amici in un campeggio vicino a Braganza, in fondo ad un vallone polveroso. Con loro passeremo due bei giorni.
Mercoledì 15. Andiamo a visitare Braganza.
Bella cittadina circondata da mura medievali. Facciamo un giro intorno al castello, c’è una messa e la Madonna viene portata in processione. Ripartiamo poi verso Miranda sul Douro, facciamo il solito giro del paese e nelle chiese, e c’è un mercatino. Sostiamo in un campeggio tutto nuovo, dove ci viene offerta la cena perché è il compleanno del capo, musica e balli.
Giovedi 16. In battello sul Douro, visita a Zamora
Al mattino facciamo un giro in battello sul Douro che qui scorre tra alte pareti rocciose.
L’escursione termina con la degustazione di vini (nonostante il caldo, c’è chi ne approfitta alla grande) e per chiudere c’è un piccolo spettacolo di falconeria.
Ripartiamo e ci fermiamo per il pranzo in una piccola area pic nic, all’ ombra di un pioppo, fa molto caldo. Salutiamo gli amici che vanno verso Porto per incontrare altri amici e stare ancora qualche giorno in Portogallo. Noi iniziamo il ritorno.
Nel pomeriggio visitiamo Zamora, la bellissima Cattedrale e altre chiese, notevoli nella cattedrale gli arazzi e gli ornamenti religiosi. Ci sono in città ben 24 chiese tutte ricche di cose notevoli; il Duomo ha una facciata romanica di particolare interesse, per chi se ne intende. Io mi accontento di osservare i vari tipi di conglomerato di cui sono fatti tutti gli edifici, e di come alcuni si stanno sbriciolando con il passare dei secoli.
Il territorio che traversiamo, dal Portogallo fino oltre Zamora, è quasi desertico, con continui affioramenti di rocce di un granito tenero, che si sfoglia con il tempo e gli sbalzi termici. Tutto è arrotondato, quasi piatto. Tutto coperto da molti licheni. Al mio occhio inesperto sembra un territorio primigenio talmente antico da essere consumato dal vento e dall’acqua senza che mai sia stato rimescolato da eventi geologici né mai coperto da foreste.
Ripartiamo e andiamo a Salamanca, fermandoci in un’area sosta in vista della cattedrale, vicino ad uno stadio di Rugby.
Venerdì 17. Visita a Salamanca, poi a Soria e l’eroica Numancia.
Al mattino visitiamo la bella città, era e forse è ancora la sede della cultura in Spagna. È situata appena in alto sopra il Duoro e giace su spessi strati di conglomerato. Notevole il vecchio ponte sul Duoro. Visitiamo la cattedrale, con audioguida (5 euro buttati via, salvo essere veramente interessati e conoscitori dell’arte sacra, caso raro, ma se la giornata è caldissima il costo paga un’ora di frescura).
Inglobata nella nuova cattedrale c'è la vecchia, tutt’ora in funzione. Notevole anche la plaza mayor, ma questa città bellissima è poco fotografabile, gli edifici sono grandi e gli spazi intorno sono poco ampi. In tarda mattinata ripartiamo verso l'Italia.
Passiamo Valladolid e arriviamo fino a Soria, più volte attraversiamo il Duoro.
Le lunghe ore di viaggio non ci pesano affatto, sono ampiamente ripagate dagli stupendi grandiosi paesaggi, spesso estremamente ampi, sconfinati. Il ronfare del motore e gli orizzonti lontanissimi ci danno l’impressione di essere su un piccolo aereo anziché su un camper. Negli ultimi 70 km stanno costruendo una nuova autostrada, eppure la bellissima superstrada su cui siamo pare più che sufficiente. Mi sembra un danno inutile a questo paesaggio e agli animali che patiranno un ulteriore frazionamento del loro ambiente.
Vicino a Soria facciamo un’altra bellissima scoperta: Numancia, o Numantia in latino. È il bello di viaggiare fuori dalle autostrade e non programmare mai rigidamente il viaggio; si scoprono cose nuove, inattese e a volte anche molto importanti.
Numantia
Numancia era un’antica città, è stata l’eroica roccaforte celtoiberica.
Conquistata dai Romani nel 153 AC dopo 20 anni di guerra, fu presa con un anno di assedio per fame, e poi rasa al suolo. Era l’ultima resistenza iberica. Fu sconfitta da Publio Cornelio Scipione Emiliano, lo stesso che distrusse Cartagine. Gli abitanti stremati dopo un’ultima vana sortita contro gli assedianti incendiarono la loro città e si gettarono tra le fiamme, e i Romani la rasero al suolo. In seguito Numancia fu ricostruita e abitata dai Romani per alcuni secoli. Dimenticata poi riscoperta nei due secoli passati, continuano ancora oggi gli scavi. Wiki qui
Cervantes ha scritto un poema su quell’assedio impressionante. Di certo, camminando qui tra i resti di queste capanne che coprono a stento la superficie di un campo da calcio, e paragonando la loro piccolezza alla grandiosità di Roma, ci coglie una grande tristezza per l’accaduto. Ancora di più pensando che questo era l’ultimo baluardo di una civiltà diversa. Ricca di chissà quali valori che non conosceremo mai, e che non poteva nuocere alla lontana Roma. Che bisogno c’era? Numancia è in cima ad una collina e si gode un’ampia vista su tutta la regione intorno, tira un vento gelido ed in cuor mio maledico i Romani, come pure gli Inglesi, che hanno sempre cancellato le altre civiltà.
Dormiamo in una piccola area sosta vicino al Duoro.
Sabato 18. Visitiamo Soria e viaggiamo verso la costa.
Soria è una gradevole cittadina con vari monumenti romanici, ma sarà stravolta a breve dall’arrivo dell’autostrada, con i suoi manifesti che gridano ingenuamente `Soria chiede futuro`. Anche qui mi domando che bisogno c’era?
Riflessi sull'acqua del Duoro, vicino a Soria
Ripartiamo e viaggiamo superando Zaragoza e lleida (Lerida), tra paesaggi sempre diversi eppure simili. Il territorio è un enorme scudo alternativamente composto di conglomerati, arenaria, argilla, calcare, tantissimi strati quasi sempre piani. Il terreno che appare nelle scarpate delle strade o nei campi arati ha colori bellissimi che vanno dal bianco al marrone al rosso scuro e in mezzo mille tonalità di rosa. Questi colori sono dovuti all’alterazione delle rocce che dura da milioni di anni. Spesso la vegetazione è quasi desertica, con pochi cespugli che si fanno più radi nelle zone più aride, fino a sparire del tutto, e questo fino all’orizzonte.
La Spagna in queste lande appare ancora intonsa e vergine, e sanguina di rosso dove l`insulto delle grandi strade l’ha ferita profondamente.
Arriviamo a Manresa, campeggio su un’altura. Da qui si vede una stupefacente fila di creste dall’aspetto dolomitico, con vette aguzze e ardite. È lo stesso complesso montuoso che mi aveva stupito vari giorni fa. Tra questi monti c’è il monastero di Montserrat.
Domenica 19. Visita al Monastero di Montserrat. Wiki qui
Il posto è magico, stupendo. Abbarbicato a mezza altezza delle cime che lo sovrastano c’è un complesso di molti edifici, la basilica e il monastero, poi un museo e tanti altri edifici strettamente turistici. Negozi di ogni genere. Ci si può arrivare in vari modi: a piedi, in auto, in funivia, o con un trenino a cremagliera, questo la dice lunga sulla vocazione turistica del luogo. È un monastero nato per venerare una Madonna Nera, ma i visitatori più che pellegrini sono turisti, e turisti di alto livello, russi, giapponesi e altri orientali, quasi tutti ben vestiti e intenti a fotografare tutto con molta cura. Insomma un bel posto per fare dei selfie. Qui abbiamo bevuto il caffè più terribile non solo di questo viaggio, ma credo degli ultimi anni.
In compenso i picchi montani che lo sovrastano sono meravigliosi, è tutto conglomerato! Tutte strutture altissime e arrotondate dalla consunzione del tempo. Provo un senso di smarrimento pensando a cosa significa questo spessore di centinaia di metri di conglomerato. Provo a immaginare la sua formazione: un cumulo incommensurabile di sassi piccoli e non, di vario colore e durezza, tutti arrotondati dopo aver percorso chissà quanta strada sul fondo di un torrente. Ma che clima c’era allora sulla Terra!? Finalmente questa enorme massa di ciottoli si accumula e si ferma, ha uno spessore di centinaia di metri, quindi si copre di altra roccia. Passano milioni di anni tanto che i ciottoli si incollano insieme come una pietra unica. Poi tutto si muove di nuovo e l’ammasso di roccia, ormai consolidato, viene spinto in alto, franano e si consumano le parti laterali e meno dure, altra acqua le porta via, e rimangono questi appicchi enormi, impressionanti. Scusate se è poco. Solo a me tutto questo pare più interessante del Monastero e dei ricchi negozi?
Monserrat
Ripartiamo poi verso l’Italia e guidiamo fino a notte fermandoci in un paesino dopo Ales: Saint Morice de Cazevieille, dove non ci danno neanche la cena perché è tardi, e sono solo le 10 di sera…
Lunedì 20. Ritorno.
Dopo una notte tranquilla nel silenzio del piccolo paese riprendiamo la strada e guidando a turno ritorniamo passando sopra Nimes, poi da Gap, Briançon, il Monginevro, la val di Susa. A notte siamo a casa, e ci godiamo l’abbraccio energico e affettuoso dei cani.
N.B. (Nota Biellese) – È stata una sorpresa il conteggio di quanto abbiamo speso: 16 giorni, 4.800 chilometri. Escludendo solo cibi, bevande e ristoranti, meno di mille euro in due.
Lunedì 13. A sud, scopriamo il Castro di Viladonga, uno zoo e arriviamo a Lugo.
Scendiamo verso Lugo, che è un’antica città caratterizzata da una incredibile cerchia di mura romane, perfettamente conservate. Strada facendo, in mezzo a boschi e foreste, vediamo le indicazioni di un museo archeologico. Si tratta del Castro de Viladonga, un antico villaggio fortificato abitato dall’Età del Ferro fino a dopo l’arrivo dei Romani, veramente spettacolare. È una bella sorpresa scoprire che erano così i centri abitati della Spagna prima dell’arrivo dei Romani e ancora molto dopo. In Italia non abbiamo, che io sappia, tracce di villaggi analoghi. La Galizia è sempre bellissima, con la sua rigogliosa vegetazione e agricoltura, e ora ci stupisce con questo semplice e meraviglioso villaggio, e ce ne sono altri in tutta la regione. Questo è uno dei più belli ed è difeso da cerchie di terrapieni. Il piccolo museo, gratuito, è ordinato e interessante, faccio un giro tra le viuzze e aguzzo la vista... ci può essere ancora qualcosa da trovare…
Il Castro de Viladonga |
Ripartiamo e prima di arrivare a Lugo vediamo un cartello e andiamo a visitare uno zoo. Un grande zoo in mezzo ai boschi lontano dalle città, è abbastanza interessante e molto ben ambientato, sono notevoli il lupo, la renna e due linci.
A Lugo ci fermiamo in un’area sosta vicino al centro sportivo comunale, saliamo in centro. Il centro di Lugo è circondato dalle mura romane enormi e perfettamente integre, due chilometri di mura alte dieci metri sulle quali c’è un ampio camminamento, molto simili alle mura di Lucca. Bella la cattedrale, molto spagnola. Mangiamo in un piccolo ristorante, c’è un gruppo di italiani che sta facendo il Cammino di Santiago, facciamo quattro chiacchiere e ci spacciamo per pellegrini anche noi, ottima cena con 20 euro in due.
Prima di dormire facciamo il giro della città sopra le mura romane ottimamente illuminate, sembra incredibile che abbiano millesettecento anni.
Martedì 14. Visita a Las Medulas, a Ponferrada. Wiki qui
Las Medulas è stata la miniera d’oro sfruttata dai Romani dopo aver abbandonato la nostra Bessa, vicino a Biella, nel secondo secolo dopo Cristo.
È impressionante la dimensione e il volume delle montagne che hanno lavorato. Rimangono oggi delle pareti alte fino a cento metri color rosso mattone. La roccia è un conglomerato a matrice di argilla. Uno strato d'argilla rossa e pura spesso un metro appare in tutte le pareti quasi verticali di questi picchi. In molti punti si vedono ancora i cunicoli che furono scavati per poi far franare con l’acqua il terreno. Per portare l’acqua fino a qui i Romani fecero un canale di 83 km in mezzo alla montagne. Ci lavoravano gli abitanti locali, ma era un lavoro rischioso. Dopo aver scavato piccole gallerie nel friabile conglomerato di argilla deviavano la roggia nei cunicoli scavati fino a far ammorbidire l’argilla e far franare il tutto. Tolti poi i sassi e le ghiaie, si selezionavano con i lavaggi i materiali pesanti e infine, forse con la batea (il piatto del cercatore d’oro) si faceva l’ultimo lavaggio che faceva apparire l’oro. Furono impiegati fino a seimila operai in contemporanea.
Notevole il quantitativo stimato di oro che qui è stato estratto: più di un milione e mezzo di chilogrammi, in due secoli e più. Quando poi l’oro non fu più usato per le monete, e si usarono altri metalli o leghe, la richiesta di oro calò e cessò l’estrazione (che unitariamente non era molto redditizia). La visita a questa meraviglia è una camminata di un paio d’ore; ci sono vari percorsi più o meno lunghi, a volte con forti dislivelli, ma ne vale la pena! È uno spettacolo grandioso.
Qui si vedono le colate dell'argilla che si scioglie con la pioggia |
Nel tardo pomeriggio partiamo per raggiungere gli amici a Braganza, in Portogallo.
Viaggiamo su un altopiano, percorriamo almeno 50 km senza incontrare un paese, superando tre alti colli. La Spagna per i lunghi tragitti ha delle superstrade veramente magnifiche, nulla da invidiare alle nostre autostrade, mancano solo le aree di servizio. O meglio, è in Italia che sono di troppo.
Oggi, mentre viaggiamo, ci raggiunge la notizia della caduta di un viadotto autostradale a Genova, ci riempie di tristezza.
In Portogallo si torna indietro di un’ora. Raggiungiamo gli amici in un campeggio vicino a Braganza, in fondo ad un vallone polveroso. Con loro passeremo due bei giorni.
Mercoledì 15. Andiamo a visitare Braganza.
Bella cittadina circondata da mura medievali. Facciamo un giro intorno al castello, c’è una messa e la Madonna viene portata in processione. Ripartiamo poi verso Miranda sul Douro, facciamo il solito giro del paese e nelle chiese, e c’è un mercatino. Sostiamo in un campeggio tutto nuovo, dove ci viene offerta la cena perché è il compleanno del capo, musica e balli.
Giovedi 16. In battello sul Douro, visita a Zamora
Al mattino facciamo un giro in battello sul Douro che qui scorre tra alte pareti rocciose.
L’escursione termina con la degustazione di vini (nonostante il caldo, c’è chi ne approfitta alla grande) e per chiudere c’è un piccolo spettacolo di falconeria.
Ripartiamo e ci fermiamo per il pranzo in una piccola area pic nic, all’ ombra di un pioppo, fa molto caldo. Salutiamo gli amici che vanno verso Porto per incontrare altri amici e stare ancora qualche giorno in Portogallo. Noi iniziamo il ritorno.
Nel pomeriggio visitiamo Zamora, la bellissima Cattedrale e altre chiese, notevoli nella cattedrale gli arazzi e gli ornamenti religiosi. Ci sono in città ben 24 chiese tutte ricche di cose notevoli; il Duomo ha una facciata romanica di particolare interesse, per chi se ne intende. Io mi accontento di osservare i vari tipi di conglomerato di cui sono fatti tutti gli edifici, e di come alcuni si stanno sbriciolando con il passare dei secoli.
Il territorio che traversiamo, dal Portogallo fino oltre Zamora, è quasi desertico, con continui affioramenti di rocce di un granito tenero, che si sfoglia con il tempo e gli sbalzi termici. Tutto è arrotondato, quasi piatto. Tutto coperto da molti licheni. Al mio occhio inesperto sembra un territorio primigenio talmente antico da essere consumato dal vento e dall’acqua senza che mai sia stato rimescolato da eventi geologici né mai coperto da foreste.
Ripartiamo e andiamo a Salamanca, fermandoci in un’area sosta in vista della cattedrale, vicino ad uno stadio di Rugby.
Venerdì 17. Visita a Salamanca, poi a Soria e l’eroica Numancia.
Al mattino visitiamo la bella città, era e forse è ancora la sede della cultura in Spagna. È situata appena in alto sopra il Duoro e giace su spessi strati di conglomerato. Notevole il vecchio ponte sul Duoro. Visitiamo la cattedrale, con audioguida (5 euro buttati via, salvo essere veramente interessati e conoscitori dell’arte sacra, caso raro, ma se la giornata è caldissima il costo paga un’ora di frescura).
Inglobata nella nuova cattedrale c'è la vecchia, tutt’ora in funzione. Notevole anche la plaza mayor, ma questa città bellissima è poco fotografabile, gli edifici sono grandi e gli spazi intorno sono poco ampi. In tarda mattinata ripartiamo verso l'Italia.
Passiamo Valladolid e arriviamo fino a Soria, più volte attraversiamo il Duoro.
Le lunghe ore di viaggio non ci pesano affatto, sono ampiamente ripagate dagli stupendi grandiosi paesaggi, spesso estremamente ampi, sconfinati. Il ronfare del motore e gli orizzonti lontanissimi ci danno l’impressione di essere su un piccolo aereo anziché su un camper. Negli ultimi 70 km stanno costruendo una nuova autostrada, eppure la bellissima superstrada su cui siamo pare più che sufficiente. Mi sembra un danno inutile a questo paesaggio e agli animali che patiranno un ulteriore frazionamento del loro ambiente.
Vicino a Soria facciamo un’altra bellissima scoperta: Numancia, o Numantia in latino. È il bello di viaggiare fuori dalle autostrade e non programmare mai rigidamente il viaggio; si scoprono cose nuove, inattese e a volte anche molto importanti.
Numantia |
Numancia era un’antica città, è stata l’eroica roccaforte celtoiberica.
Conquistata dai Romani nel 153 AC dopo 20 anni di guerra, fu presa con un anno di assedio per fame, e poi rasa al suolo. Era l’ultima resistenza iberica. Fu sconfitta da Publio Cornelio Scipione Emiliano, lo stesso che distrusse Cartagine. Gli abitanti stremati dopo un’ultima vana sortita contro gli assedianti incendiarono la loro città e si gettarono tra le fiamme, e i Romani la rasero al suolo. In seguito Numancia fu ricostruita e abitata dai Romani per alcuni secoli. Dimenticata poi riscoperta nei due secoli passati, continuano ancora oggi gli scavi. Wiki qui
Cervantes ha scritto un poema su quell’assedio impressionante. Di certo, camminando qui tra i resti di queste capanne che coprono a stento la superficie di un campo da calcio, e paragonando la loro piccolezza alla grandiosità di Roma, ci coglie una grande tristezza per l’accaduto. Ancora di più pensando che questo era l’ultimo baluardo di una civiltà diversa. Ricca di chissà quali valori che non conosceremo mai, e che non poteva nuocere alla lontana Roma. Che bisogno c’era? Numancia è in cima ad una collina e si gode un’ampia vista su tutta la regione intorno, tira un vento gelido ed in cuor mio maledico i Romani, come pure gli Inglesi, che hanno sempre cancellato le altre civiltà.
Dormiamo in una piccola area sosta vicino al Duoro.
Sabato 18. Visitiamo Soria e viaggiamo verso la costa.
Soria è una gradevole cittadina con vari monumenti romanici, ma sarà stravolta a breve dall’arrivo dell’autostrada, con i suoi manifesti che gridano ingenuamente `Soria chiede futuro`. Anche qui mi domando che bisogno c’era?
Riflessi sull'acqua del Duoro, vicino a Soria |
Ripartiamo e viaggiamo superando Zaragoza e lleida (Lerida), tra paesaggi sempre diversi eppure simili. Il territorio è un enorme scudo alternativamente composto di conglomerati, arenaria, argilla, calcare, tantissimi strati quasi sempre piani. Il terreno che appare nelle scarpate delle strade o nei campi arati ha colori bellissimi che vanno dal bianco al marrone al rosso scuro e in mezzo mille tonalità di rosa. Questi colori sono dovuti all’alterazione delle rocce che dura da milioni di anni. Spesso la vegetazione è quasi desertica, con pochi cespugli che si fanno più radi nelle zone più aride, fino a sparire del tutto, e questo fino all’orizzonte.
La Spagna in queste lande appare ancora intonsa e vergine, e sanguina di rosso dove l`insulto delle grandi strade l’ha ferita profondamente.
Arriviamo a Manresa, campeggio su un’altura. Da qui si vede una stupefacente fila di creste dall’aspetto dolomitico, con vette aguzze e ardite. È lo stesso complesso montuoso che mi aveva stupito vari giorni fa. Tra questi monti c’è il monastero di Montserrat.
Domenica 19. Visita al Monastero di Montserrat. Wiki qui
Il posto è magico, stupendo. Abbarbicato a mezza altezza delle cime che lo sovrastano c’è un complesso di molti edifici, la basilica e il monastero, poi un museo e tanti altri edifici strettamente turistici. Negozi di ogni genere. Ci si può arrivare in vari modi: a piedi, in auto, in funivia, o con un trenino a cremagliera, questo la dice lunga sulla vocazione turistica del luogo. È un monastero nato per venerare una Madonna Nera, ma i visitatori più che pellegrini sono turisti, e turisti di alto livello, russi, giapponesi e altri orientali, quasi tutti ben vestiti e intenti a fotografare tutto con molta cura. Insomma un bel posto per fare dei selfie. Qui abbiamo bevuto il caffè più terribile non solo di questo viaggio, ma credo degli ultimi anni.
In compenso i picchi montani che lo sovrastano sono meravigliosi, è tutto conglomerato! Tutte strutture altissime e arrotondate dalla consunzione del tempo. Provo un senso di smarrimento pensando a cosa significa questo spessore di centinaia di metri di conglomerato. Provo a immaginare la sua formazione: un cumulo incommensurabile di sassi piccoli e non, di vario colore e durezza, tutti arrotondati dopo aver percorso chissà quanta strada sul fondo di un torrente. Ma che clima c’era allora sulla Terra!? Finalmente questa enorme massa di ciottoli si accumula e si ferma, ha uno spessore di centinaia di metri, quindi si copre di altra roccia. Passano milioni di anni tanto che i ciottoli si incollano insieme come una pietra unica. Poi tutto si muove di nuovo e l’ammasso di roccia, ormai consolidato, viene spinto in alto, franano e si consumano le parti laterali e meno dure, altra acqua le porta via, e rimangono questi appicchi enormi, impressionanti. Scusate se è poco. Solo a me tutto questo pare più interessante del Monastero e dei ricchi negozi?
Monserrat |
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