060. Cronaca Monte Casto 27/10/13

Cronaca della (mia) 21km del Monte Casto
L’anno scorso un caro amico, alpinista, esperto di montagne e forte camminatore, si iscrisse a questa gara, la 21km al Monte Casto, ne tornò entusiasta!  Forse era poco vestito, c’era anche la neve quell’anno, fatto sta che si prese il Virus-Trail-recidivante. Si sa che per questo virus non c’è cura, bisogna conviverci e blandirlo con qualche corsa con forti salite e discese ogni tanto, evitando che peggiori.
Uno dei sintomi tipici, e potente veicolo di espansione del contagio, è il desiderio compulsivo ossessivo di parlarne con entusiasmo agli amici. E così lui me ne parlò, come di un tipo di corsa diverso dalle tante su strada, disse che in queste gare c'è un’aria festosa di cameratismo che è un piacere esserci.
Ma io, protetto dalla mia veneranda età e dai vari acciacchi conseguenti, riuscii ad evitare il contagio. 
Però mi era rimasta la curiosità di vedere come si svolge un Trail, che gente si incontra, se è vero che l’ambiente è cameratesco e c’è una calda atmosfera di festa e fratellanza mentre si sputa l’anima correndo su e giù per sentieri sgangherati, potenzialmente micidiali, dove non si manderebbe neanche il peggior nemico. Vorrei capire…
E così, ben coperto per non rischiare il contagio, corroborato dall’approvazione di Barbara che più faccio cose strane più è contenta, mi sono iscritto alla 21Km del Casto. 
Per la gara mi sono preparato bene, un serio allenamento la domenica prima di ben 11 chilometri in piano, ma sotto la pioggia. Mi presento alla partenza deciso e determinato a ritirarmi al minimo problema, in fondo, come dicono tutti, siamo qui per divertirci e c’è davvero una stimolante aria di festa. 
Tra i partenti che gironzolano scaldandosi vedo un tizio che mi sembra di conoscere, passo in rassegna i vecchi corridori di 35 anni fa quando facevo qualche garetta di paese... chi sarà? E' Giovanni del trio dei bravi comici "Aldo Giovanni e Giacomo", è anche "tosto" come corridore, mi fa piacere vederlo qui. 
Guardo un po’ stupito l’attrezzatura di molti, zaini piccolissimi, i camel-back con il tubicino, sono davvero strani. Io con la maglia legata in vita e una bottiglietta da mezzo litro comprata al bar poco prima mi sento un po’ demodè, l’ho nascosta in un marsupio, insieme al k-way che tengo girato sulla schiena. Ma sono pronto. 
Si parte subito di corsa e abbastanza veloci, sono nel gruppo di coda, dopo dieci minuti c’è una salitella fangosa, è solo l’inizio… rallento un po’ per aprire i bastoncini e regolarli senza infilzare nessuno… passano alcuni minuti e i bastoncini sono di nuovo inutili.. siamo a Locato mi guardo indietro… e, salvo errori… sono l’ultimo.  Bene ! così mi sono tolto la paura :-). Pian piano recupero qualcuno.
Appena fuori dalle case di Locato, quando si entra nei boschi e sui prati, succede qualcosa. Fin qui il fastidio di correre in gruppo, in mezzo a sconosciuti, poi non più. In pochi minuti si è fra amici, il sentiero stretto che ci mette in fila ci affratella, guardo quelli davanti e sento quelli (pochi) dietro ed è come se tutti spingessimo per alzare la stessa bandiera. Forse ho capito qualcosa. 
Poi comincia la salita, che da qui fino alla cima del monte Casto è davvero ripida, diretta, e allora comincio a recuperare.. uno due tre una dozzina almeno, poi finisco dietro una ragazza dalle curve generose… e per un po’ la seguo sfruttando l’attrazione gravitazionale. Sono tante, qui in fondo al gregge, le rappresentanti del gentil sesso, bei fisici e bei volti, ed anche i maschi bei fisici e bei volti, mi rendo conto che sono fra gente selezionata, è la durezza di queste corse che fa la selezione? Forse ho capito qualcos’altro. 
La salita è proprio dura, ma tutti vanno su bene, nessuno che scoppia, si vede che è gente che corre spesso e sa gestire queste tirate che ti mandano il cuore a mille. Così la smetto di superare gente e mi risparmio per la parte finale dove so per certo, se mai ci arriverò, che mi mancherà “la birra”. Intanto il percorso si fa sempre più bello, siamo in un fitto bosco di castagni con qualche radura, poi si incontra una strada asfaltata, ma la nostra pista la ignora e scorre al suo fianco, abbasso l’asfalto.  Una signora togliendosi la maglia perde un fazzolettino, subito quello dietro lo raccoglie e glielo porta… ho appena superato una ragazza e con la coda dell’occhio vedo che fatica a salire due metri ripidi di fango scivoloso, mi giro e le porgo un bastoncino, con un sorriso mi ringrazia ma ne esce senza problemi .. piccoli gesti tipici dello spirito del Trail. Dopo un po’, in un raro pezzo di pochi metri in discesa, arrivano lanciatissimi due tipi strani, una ragazza davvero piccolina che sembra stia facendo i centro metri piani.. e un altro che la segue…  non li ho mai visti prima… quindi a Locato non ero l’ultimo… ma da come viaggiano penso che siano semplicemente partiti in ritardo. 
Siamo nell’ultimo chilometro prima della vetta del Casto… la ragazza piccolina e il suo compagno li ho lasciati dietro, per ora. Qualcuno rallenta ancora, e mi tocca superarlo, l’ultima parte prima della vetta è un bosco scuro e maestoso di abeti, il terreno è pelato non cresce nulla per il buio … ma ci sono i funghi.  Arrivo bene in cima e qui cambia la musica… con un po’ di timore per via delle ginocchia stagionate affronto la discesa prima su prato e non molto ripida, poi aumenta un po’ …  provo a lasciar andare le gambe… e va tutto bene! Devo solo correre un po’ a gambe flesse per non “picchiare” sulla schiena. La ragazza piccolina passa tutti e sfarfalla via con il suo k-way svolazzante… non la vedremo più.  Ed ecco arriva il primo ristoro… ce n’era bisogno! C’è da mangiare e da bere, mi faccio due the caldi, un terzo di banana e una barretta energetica, credo.  Due minuti di sosta e si riparte…  comincia la parte un po’ problematica, la traversata in discesa a nord del Casto è il preambolo al peggio che verrà dopo. Il sentiero stretto di sassi puntuti imburrati con fango, muschi, licheni e bava di lumaca è un vero sollievo per piedi e caviglie dopo la riposante salita di 600 metri in sei chilometri.  Saggiamente viaggiamo tutti distanziati di una decina di metri e si va giù a rotta di collo finché sentiamo dietro un trambusto che si avvicina è il primo dell’altra gara, la 46 chilometri ( sono partiti due o tre ore prima di noi e questi ultimi chilometri sono in comune tra le due gare). Vista la stagione e il fracasso di sassi e rami rotti deve essere inseguito da un grosso cervo in calore, è l’unica spiegazione possibile. Confrontata con la sua la nostra “rotta di collo” sembra una passeggiata col gelato in mano. E la discesa continua a tratti ripida a tratti meno, fino ad un punto dove il sentiero sfiora il sentiero che sale. Qui mi supera un altro della 46 km, corre talmente equilibrato che sembra che vada piano, sono da solo e provo a stargli dietro… cinquanta metri, un prato,  poi la pendenza aumenta e con questa il fango… una volta me la cavavo bene in queste condizioni tuttavia lo perdo di vista in poco tempo, son forti questi della 46! 
Intanto con questo allungo sono finito in mezzo ad un gruppo che non avevo mai visto… misteri della corsa. Arriviamo a Locato dove c’è il secondo ristoro, mi guardo intorno, sono tutti provati dalla discesa, l’ultimo pezzo era un precipizio! Sbocconcello cioccolata e un cicchetto con ‘i Sali’  che tra un po’ ci sarà altra sali-ta. Mi bevo un po’ della mia acqua, sono stufo di portarmela a spasso nel marsupio girato dietro, è da un’ora e mezza che “mi sta sul culo”, letteralmente :-). Si scende ancora un po’ fino ad un ponticello e qui si prende a sinistra, ricomincia, pian piano, un’altra lunga salita che affronto con meno allegria dell’altra. Si passa a fianco della bella e dimenticata chiesetta degli Eremiti poi ancora su, un bel traverso che sale scivoloso ci porta infine a Selve Marcone dove c’è un altro ristoro. Non mi rendo conto che è l’ultimo e mangio poco, solo un pezzetto di cioccolata, dò fondo alla mia acqua e la finisco, e si riparte, ancora un po’ di salita… supero brillantemente un gruppo di cercatori di funghi, poi si traversa una strada e ricomincia la discesa, sempre più di frequente passano lanciati i camosci della 46 chilometri e anche molti dei miei compagni già superati prima… pian piano, anzi in fretta, “finisco la birra”.  Come da copione. Quindi rallento, giocoforza, provo la tecnica del nordic walking, ma con scarsi risultati. Arrivo alla Colma bello stanco ma sempre felice… e vorrei già essere arrivato, gli ultimi due chilometri di discesa e falsopiano mi pesano un po’… ma era prevedibile, ho sete… dovevo bere di più, prima. 
Tuttavia è andata bene,  sono entrato e uscito indenne dal caravanserraglio del popolo del Trail running.
Bello anche il dopo gara con la pasta tutti insieme a smaltire l’euforia dopo la corsa, con la birra a volontà, a compensare “la birra” che avevo finito proprio negli ultimi chilometri.
Così mi porto a casa questa nuova esperienza. La 21km del Casto, bella, molto varia per terreno ambiente e dislivello, ce l’ho in tasca! 
Il tempo? Domanda vana, ho amoreggiato con una Star del cinema, se l’amplesso è durato a lungo, meglio!
Corro a casa (si fa per dire..) per prendere un’aspirina e scongiurare il contagio del Virus-Trail-recidivante.
Gianni 
30/10/13 

061 Belgioioso - Piacenza 5/10/13

5 e 6 ottobre 2013

1° giorno: Belgioioso - Orio Litta 24 km

2° giorno: Orio Litta - Piacenza  21 km

Questa è la seconda camminata di questo gruppetto eterogeneo  con evidenti tendenze masochiste. C’è stato qualche cambiamento, mancano alcuni dei lontani o chi aveva impegni diversi,  fattostà che siamo in tanti, forse 14.

Partenza in treno da Vercelli, mattino presto, cambio treno a Pavia ancora assonnati. A Belgioioso ci accoglie, puntuale, la pioggia ed il suo compagno fedele il vento.  Pochi passi e subito in chiesa a timbrare la Credenziale e poi si parte davvero. Pioggerella, freddo,  dopo l’una ci fermiamo per mangiare in uno spiazzo in periferia di un paesino (Mirandolo Terme? ), non c’è neanche da sedersi, per fortuna le munizioni da bocca portate dalle varie nutrici sono come sempre vivificanti.

 A Chignolo Po sfioriamo un formidabile castello. L’assessore, che passa in auto, vedendo un simile gruppo di pellegrini ci dona un bel libro sulla storia del paesello (il libro rimane a me, non so come condividerlo con gli altri). Cominciamo ad essere stanchi, poco dopo ci raggiunge il sindaco di Orio Litta, preavvertito del nostro arrivo ci è venuto incontro in velocipede.  Ancora un’oretta  e poi guidati dal primo cittadino scopriamo il piccolo paese davvero gradevolissimo. Visita guidata a Villa Litta una villa patrizia dalla interessantissima storia che ci viene presentata dall’attuale graziosa proprietaria.

Siamo stanchi, ma la doccia calda compie il solito miracolo (anche se le docce, in verità, distano mezzo chilometro, a+r ) poi si va a cena in una piccola osteria, il vino è buono e facilita gli scambi conviviali con un gruppetto di quattro francesi (due gruppi, 3 + 1). Oltre al timbro del Comune di Orio Litta raccogliamo anche il timbro della trattoria, Barbara è felice.

Dormiamo (su sontuose brandine) nientemeno che nella sala del Consiglio Comunale, bellissima struttura di una vecchia cascina.

Il mattino dopo, fedele, la pioggerella ci attende, un lungo tratto in campagna ci porta fino a Corte S.Andrea dove bisogna attraversare il Po.  Attendiamo il traghettatore Danilo che deve fare due giri per portare al di là tutto il gruppo. Anche con la pioggerella e il vento  il Po, comunque, ha sempre un gran fascino.

Ci sorbiamo la tiritera simpatica e accorata di Danilo che ci racconta di come s’è costruito il suo ruolo di traghettatore, e  interessanti particolari del Po e di come variano continuamente l’alveo e le sponde fin oltre gli argini enormi. Timbro della credenziale e firma dell’enorme registro  di Danilo.

Si riparte con il dubbio circa l’attraversamento del Trebbia,  guado o non guado?  Il guado è fortemente sconsigliato da Danilo, dice che prima del guado c’è un lungo tratto con i rovi…  L’alternativa al guado è un giro più lungo di 2 km, e noioso.

Ma l’idea di un guado con le scarpe in mano con vento freddo e pioggia forte è un’attrattiva irresistibile,  anche se non per tutti.  (ve l’avevo detto che son masochisti..)

Intanto anche la fame si fa sentire e ci fermiamo a mangiare, in un posto assurdo, all’aperto, senza posto per sedere, tutto è fradicio e gocciolante e tira vento ed è buio come la notte.

Bene, si riparte alla ricerca del guado, che è anche difficile da trovare… Barbara ed io andiamo in avanscoperta ed intanto il gruppo si divide in due: i guadanti ed i non guadanti. Trovato il guado Barbara prova ad attraversare per capire quant’è profonda l’acqua… trenta metri ed è di là, il dado è tratto.

Torno indietro a fare strada al gruppo dei guadanti e c’inzuppiamo ben bene tra le erbe alte..

Il guado trascorre senza particolari problemi ma adesso,  dopo un quarto d’ora per rinfilarsi scarpe e calze nel vento con pioggia orizzontale che aiuta molto e sui sassi coperti di limo della sponda del Trebbia,  viene il bello.  

L’alveo del Trebbia è molto ampio e dopo questo guado non c’è traccia di sentiero , girovaghiamo con la cartina zuppa e inutile in mano, in varie direzioni in mezzo alle ostili e alte vegetazioni di questi luoghi di sponda che grondano acqua al solo guardarle.  Solo dopo mezz’ora abbiamo la quasi certezza di essere usciti dall’alveo e nella direzione giusta.  Sempre sotto la pioggia raggiungiamo la periferia e poi il centro di Piacenza dove in un bar ci aspettano, anche loro fradici e stanchi, gli amici che non hanno fatto il guado.

Bar pieno all’inverosimile, cioccolata calda, e si riparte a caccia del timbro per la Credenziale  nella cattedrale oggi piena di extracomunitari.

Si va alla stazione dove un treno per l’Emilia ci porta via Luisa, nell’attesa di quello per Milano chi ha ancora qualcosa di asciutto si cambia,  gli altri no.

A Milano un’altra attesa,  poi alla volta di Vercelli, poi a casa in auto.

E due!